Foto d'Africa

Sotto un sole decisamente caldo, un flusso inarrestabile di uomini, bambini e donne, vestite con «boubous» coloratissimi dalle mille fantasiose forme, anima tutti i giorni la caotica città di Bamako. Il motociclo è il mezzo di locomozione più diffuso: a migliaia percorrono la città in tutte le direzioni; sono di rigorosa manifattura cinese e vengono chiamati dalla popolazione PowerK, anche se in realtà rispondono all'esotico nome di «Tian Ma», Cavallo Celeste.

Siamo in Mali, nel cuore del Sahel. Il torrido sole, che durante tutto il giorno picchia senza tregua, lascia il posto, la notte, ad una polvere color marroncino che tutto avvolge rendendo l'atmosfera della città, ormai svuotata dalla presenza umana ed adesso immobile, simile a quella di un sogno. O di un incubo, secondo la nostra propensione al diverso, all'altro, a ciò che noi occidentali non viviamo quotidianamente.

E' proprio a Bamako, città di Malick Sidibé famoso fotografo maliano, insignito del leone d'oro alla carriera all'ultima Biennale di Venezia, che si svolge una biennale di fotografia africana, creata nel 1994 da due fotografi francesi, Françoise Huguier e Bernard Descamps. Dal 2001 la direzione artistica del festival è affidata a Simon Njami, francese d'adozione, camerunese d'origine. Dal 24 novembre al 23 dicembre 2007, il VII incontro della fotografia africana ha coinvolto quasi tutti i luoghi espositivi della città.

Durante la prima settimana di apertura, quando professionisti di tutto il mondo sono accorsi per celebrare l'ormai famoso appuntamento, Bamako ha vissuto un grande momento fatto di incontri, riflessioni e anche mondanità. Il tutto consumato all'interno di un circuito ben ristretto. Ci guardiamo intorno: la città vive del suo caos fatto di commerci primari e si ha la sensazione che il festival non stimoli l'interesse del grande pubblico, ma per i fotografi africani questo è un grande appuntamento perché permette loro di esporre nel proprio continente e di ospitare in casa i professionisti del mercato internazionale della fotografia che hanno anche l'opportunità di fare un breve assaggio di Africa.

La biennale è costruita seguendo la logica del bando: Simon Njami fissa un tema ed invita gli autori a presentare i propri lavori. L'ultimo appuntamento ha avuto scadenza il 31 marzo 2007 e, dopo quella data, un comitato, ovviamente diretto da Njami, ha selezionato le proposte e costruito il progetto espositivo. Circa un centinaio di fotografi hanno partecipato all'ultima biennale confrontandosi sull'interessante tema «Dentro e Oltre la Città».

Le città contemporanee hanno assunto la forma di megalopoli. Osservando tali agglomerati urbani, ci accorgiamo che le nozioni di centro e periferia sono divenute del tutto astratte: è questa la riflessione su cui si basa la ricerca di Njami, un desiderio di capire cosa è divenuto oggi l'antico «urbi et orbi».

Le città africane poi, secondo il direttore artistico, sono governate da codici, complessi ma anche paradossalmente molto semplici, che seguono l'immagine di coloro che le abitano. La strada, che porta dall'aeroporto al centro della città, risponde sempre alla stessa logica: prima si attraversa la periferia, con i suoi quartieri costruiti in modo alquanto selvaggio che rimandano a visioni di campi profughi, con le loro baracche in lamiera o in paglia. Attraversando questi affollati quartieri, ci si domanda se l'essenza della vita africana non cominci proprio da questi improbabili posti: in quella terra di nessuno dove lo spazio sembra essere disegnato ad arte solo da chi lo vive. Poi, cominciano le costruzioni in cemento, abitate dalla borghesia locale, che cerca sempre la tranquillità all'interno di isole protette, lontane dal volgo. Infine, si arriva al «centro» della città.

Larghe arterie, malamente asfaltate, semafori che spesso funzionano nell'anarchia più assoluta, qualche palazzo e poi gli edifici amministrativi. Ma cercare un «centro», secondo il concetto occidentale che lo definisce con la presenza circoscritta di piazze, chiese, passeggiate, qui diventa un'impresa impossibile. Perché in Africa non esiste alcun senso di città: i quartieri sorgono come funghi e come spore portate dal vento si disseminano in modo del tutto casuale.

Secondo Simon Njami, tutte le creazioni artistiche sono generate da un contesto: lo sguardo è ininterrottamente informato dall'ambiente all'interno del quale esso si esprime. E non c'è ombra di dubbio che vivere a Kinshasa, Lagos, Il Cairo, Dakar, Addis-Abeba forma uno sguardo del tutto singolare.

Al Museo Nazionale del Mali si è concentrata la sezione internazionale del festival, sicuramente la più interessante, dove Calvin Dondo, vincitore del premio Seydou Keïta per la migliore creazione fotografica, ha esposto il suo lavoro sulla città di Harare, capitale dello Zimbabwe dove l'autore vive e lavora. Si tuffa tra la gente, si butta per terra e propone delle riprese dal basso che fanno sentire l'odore dell'asfalto e vedere la materia che lo compone. La città di Harare, con i suoi edifici elementari appare una specie di quinta teatrale dai colori accesi. Nabil Boutros, egiziano d'origine e parigino d'adozione, che fotografa Il Cairo, la sua città; indagando gli elementi che compongono la sua modernità, ha proposto una bella serie a colore di fotografie di paesaggio dove antenne di telefonia mobile si confondono con palme dall'alto fusto ed improbabili edif ici si affacciano sul nulla.

Pierre Crocquet De Rosemond, di Città del Capo, Sud Africa, dove vive e lavora, ha proposto una serie di ritratti bianconero di abitanti di quei luoghi, per lo più bianchi e disadattati, che sembrano essere usciti da un incubo. Saïdou Dicko, nato a Déou, in Bourkina Faso, ma che vive e lavora a Dakar, in Senegal, con la sua ironica serie a colore sulle ombre di individui che camminano su spessi asfalti, ha vinto il premio dell'organizzazione intergovernativa della francofonia come migliore fotografo francofono. Pierrot Men, Madagascar, ha proposto in bianconero una serie di fotografie di paesaggio rurale dove l'uomo e il suo lavoro si confondono con la bellezza della natura. Mohamed Camara, nato a Bamako oggi si divide tra Parigi e la sua città natale, ha vinto il premio dell'Agenzia Francese per lo Sviluppo con una sequenza molto ironica accompagnata da didascalie altrettanto divertenti sulle fantasie dei giovani del suo Paese.

E ancora, al Museo Nazionale, una monografia abbastanza vasta sul lavoro di Samuel Fosso, nato a Kumba, Camerun, ma attualmente residente a Bangui, nella Repubblica Centroafricana. Fosso, che ha presentato il suo lavoro nella sua forma più completa proprio a Roma, nell'edificio della Calcografia nel febbraio-aprile 2004, maestro dell'autoritratto ironico, da vent'anni si ingegna a riformulare la propria immagine: una pratica che gli ha permesso di costruire una vastissima serie di autoritratti che scandiscono il passare del tempo personificando i personaggi che influenzano la sua crescita. Negli anni '70 è ispirato all'estetica dei cantanti neri: scarpe con tacchi, pantaloni a zampa di elefante, tagli afro, stravaganti occhiali da sole. Negli anni '90 l'autore entra in una nuova fase più sociale. L'ultimo periodo diviene più personale con la serie intitolata «Il Sogno di Mio Nonno».

Gli Incontri di Bamako hanno reso omaggio a due autori recentemente scomparsi: Serge Jongué, della Nuova Ghinea, con un lavoro onirico sul tema della memoria e Armand Seth, Madagascar, con il suo sguardo intimo su quell'isola d'insolita bellezza.

La biennale ha anche proposto una vasta sezione «Nuove Immagini» dedicata al video e, come ogni edizione, invitato un paese esterno al continente nero. Quest'anno la Finlandia ha occupato il posto dell'ospite, una scelta forse un po' audace, ma proprio per questo d'effetto. Gli opposti si sono messi a confronto: il caldo e il freddo, la foresta e il deserto, il bianco e il rosso, l'economia sviluppata e quella in via di sviluppo, la fotografia concettuale e quella istintiva.

In questo incontro con la fotografia africana non poteva mancare un lavoro fotografico su un progetto di cooperazione. Dalla collaborazione tra il Conservatorio di Arti e Mestieri di Bamako e la Scuola Nazionale Superiore di Arti Decorative di Parigi, è nato un interessante lavoro dallo sguardo incrociato su un progetto di sviluppo sanitario nella regione di Mopti, città sulla riva del Niger, circa 600km. a nord di Bamako.

Anche in questa parte d'Africa le istituzioni che operano nell'ambito della Cooperazione allo Sviluppo usano le immagini per cercare di educare: Il CNA (Cinéma Numérique Ambulants) organizza delle proiezioni su grandi schermi nei villaggi e nei quartieri più disagiati del Benin, del Mali e del Niger. Come il programma Cinema Arena della Cooperazione Italiana, che opera in Mozambico, anche il CNA sfrutta la potenza dell'immagine per mandare messaggi di comunicazione educativa ad una popolazione per lo più analfabeta e dunque priva di strumenti intellettuali. In occasione di queste proiezioni, all'arrivo del pubblico, il gruppo di lavoro CNA realizza delle foto e dei piccoli filmati; in fretta monta il materiale e, prima che lo spettacolo vero e proprio cominci, proietta i risultati.

L'impatto é sorprendente: l'effetto specchio fa sempre vivere un momento di leggerezza. La leggerezza della risata, dell'emo- zione, della gioia e della vita. Sono questi magici istanti che hanno portato il gruppo CNA a progettare Ritratti Sfalsati. Grazie al fotografo Bruno Mayer del collettivo parigino Tendances Flou, si è costruita una serie esilarante di ritratti digitali. Seguendo la tradizione della fotografia africana, che usa sempre sfondi fantastici come base del ritratto, Meyer invita gli abitanti del quartiere a scegliere, dall'archivio digitale messo a disposizione dall'Agenzia, una fotografia: questa scelta rappresenterà lo sfondo dove verrà incollato il loro ritratto, quello realizzato a parte su sfondo bianco. La sera, nello stesso quartiere dove si è svolta la ripresa, si organizza la proiezione accompagnata da musica dal vivo, da balli improvvisati, da grandi risate, da molta energia, dalla voglia di vivere.

Il progetto CNA ci ha portato a girare i molti quartieri di Bamako alla ricerca di spazi e luoghi. La ricerca della Scuola di Formazione di Fotografia è stata una specie di gioco dell'oca, ma alla fine, quando si è arrivati, la calma del posto, il tè verde offerto su vassoio d'alluminio e le mille fotografie del progetto Ritratti Sfalsati installate all'esterno in esposizione continua per la gente del quartiere, ricompensano le fatiche affrontate.

Partecipare agli Incontri Internazionali della Fotografia Africana, resi possibili dalla congiunzione, da una parte, del Ministero della Cultura e la Casa della Fotografia del Mali e, dall'altra, da CulturesFrance, è anche questo: muoversi nella sconclusionata città di Bamako alla ricerca di spazi, luoghi, non segnalati, che alla fine, una volta trovati, regalano sempre momenti di intense emozioni.

Patrizia Bonanzinga
gennaio 2008

Fotografia Reflex