August Sander

La vita di August Sander è quella di un uomo che ha vissuto, già adulto, le due guerre mondiali. Nasce nel novembre del 1876 a Herdorf, una piccolissima città nel Siergeland ad est di Colonia, dove erano sviluppate attività legate all'agricoltura, all'estrazione di vari materiali minerari ed all'artigianato. Della rivoluzione industriale che stava trasformando in quel periodo le grandi città, a Herdorf non se ne avvertiva traccia. Il padre di Sander era un personaggio tipico del luogo. Carpentiere di professione, possedeva una masseria e grazie al ricavato di una miniera di materiale ferroso viveva in modo agiato: nel tempo libero era solito disegnare. August cresce dunque in un solido ambiente familiare in cui non mancano stimoli intellettuali. All'età di quattordici anni, in modo del tutto naturale, intraprende la professione di minatore e si inserisce nella struttura artigianale della famiglia. Nel 1896 parte per il servizio militare e lascia il paese natale ormai ventenne plasmato per la vita, già fotografo dilettante piuttosto attivo grazie alla benevolenza di uno zio danaroso e alla fortuna che ebbe di essere casualmente scelto dal padrone della miniera dove lavorava per accompagnare un fotografo che stava facendo degli studi sul paesaggio. Con la sua ingombrate macchina fotografica 30x40cm ben installata sull'enorme treppiedi, il fotografo di passaggio invita Sander a guardare attraverso l'obbiettivo. «Tutto si muove, anche le nuvole nel cielo» è il ricordo di quell'esperienza che resta indelebile nella memoria del futuro maestro della fotografia di ritratto.

Il suo primo studio lo crea agli inizi del '900 a Linz, in Austria. Lo stile fotografico che segue in questo periodo ripercorre le tendenze pittoriche dell'epoca con cui la borghesia colta si distingueva da quella «macchinale e senza gusto» tipica del periodo della rivoluzione industriale tedesca. Ma ben presto lascia questa tendenza per scoprire quella che definì come «la fotografia esatta» utilizzando in assoluta ed oggettiva purezza linguistica le caratteristiche tecniche della macchina fotografica e rifiutando ogni contaminazione col pittoricismo allora in voga. Anche nei confronti dei personaggi celebri, Sander, allontanandosi dalle tecniche dei ritrattisti del tempo come quelle di Beaton o di Steichen, rinuncia ad ogni invenzione creativa capace di caratterizzarne l'individualità, per evidenziare, con maggior chiarezza possibile, la verità nascosta nella facce della gente di inizio secolo. Il risultato è un lavoro estremamente originale in quanto assolutamente attuale.

Sander comincia ad organizzare il suo monumentale progetto «Uomini del XX Secolo» intorno al 1910. I documenti che ci sono pervenuti, pieni di note manoscritte, rappresentano lo schema del grande compendio. L'idea di Sander è quella di fornire uno studio schematico del popolo tedesco dividendo la sua ricerca in sette gruppi principali: il contadino, il lavoratore manuale, la donna, le posizioni sociali, l'artista, la grande città e i diseredati. Ogni gruppo viene poi suddiviso in diverse voci secondo mappe genealogiche (il giovane contadino, il padre e la madre, i nonni...) o secondo le diverse collocazioni sociali (il maestro, l'artigiano, l'industriale, l'inventore...), o secondo le varie appartenenze politiche (i nazionalsocialisti, i prigionieri politici, gli ebrei...). Ovviamente tale classificazione è lontana dall'essere puramente scientifica e onnicomprensiva, ma nella sua ricerca, l'ossessione di Sander era tale da ottenere quasi la perfezione riuscendo a classificare i dementi ed da ultimo la morte.

Il progetto era dunque stato concepito per fornire la genealogia di una società, una sorta di carta dell'umanità. Per far questo, sceglie come soggetti degli archetipi appartenenti ad ogni singola categoria. «Questa gente, di cui riconosco il modo e lo stile di vita in quanto simile a quello che io stesso ho vissuto durante la mia giovinezza, mi affascina per la loro vicinanza alla natura», scrive a proposito della gente di campagna. E ancora: «Niente mi sembra più appropriato che fornire, con il mezzo della fotografia, un'immagine del nostro tempo che sia assolutamente fedele alla sua natura». Convinto che la fotografia e la pittura fossero di fatto mezzi completamente distinti che avrebbero dovuto seguire percorsi indipendenti, Sander creò ritratti nitidi e chiari, liberi dal ritocco o dalla manipolazione.

La questione più rilevante sembra essere, dunque, quella legata alla frenetica ricerca della verità: la verità del carattere dell'individuo considerato come entità, oppure la ricerca della verità nella razza tedesca di quel tempo?

Sander credeva in «un'esistenza individuale e in un integro ordine collettivo». Questi saldi ideali subiscono un duro colpo con l'avvento del terzo Reich nel 1933. La carriera del maestro subisce un arresto: Colonia, la città dove viveva con la sua famiglia e dove aveva lavorato intensamente come fotografo, viene distrutta, la sua casa bruciata, suo figlio Erich, membro del partito comunista, viene arrestato e Sander stesso è perseguitato dalle autorità naziste. Si trasferisce nel piccolo villaggio di Kuchhausen riuscendo a portare con sè solo una parte del suo lavoro, quella che riesce a salvare dal rogo (i numeri a riguardo non coincidono; forse a noi restano solo 10.000 lastre delle 30.000 che aveva fino allora prodotto). Sander è costretto a cominciare una nuova vita, quella in cui viene obbligato ad abbandonare il suo progetto così politicamente attento, per passare alla fotografia di paesaggio. Inoltre, la sua nuova vita nel piccolo villaggio di Kuchhausen non è una base adeguata alla prosecuzione del suo lavoro: è isolato, non può muoversi e solo raramente riesce a riannodare vecchi rapporti ed amicizie.

Come spesso accade ai grandi artisti, anche August Sander non ha avuto molta soddisfazione nel poter pubblicare o esporre il suo lavoro quando era ancora in vita: con un ottimismo ferreo, credeva sempre di essere sul punto di pubblicare molti dei suoi lavori. In realtà, riuscì a pubblicarne uno solo, il «Deutschenspiegel» del 1962, per il quale la scelta dei ritratti venne fatta direttamente dall'editore e risultò del tutto inadeguata all'autore.

August Sander muore all'improvviso il 20 aprile del 1962.

Il lavoro che ci ha lasciato è dunque incompleto, sia in quanto parte della sua opera è andata distrutta, sia in quanto fu costretto ad abbandonarlo. Ma nonostante tutto ciò, quello di Sander resta un lavoro gigantesco che riflette le contraddizioni e la complessa natura di quell'epoca. Percorrendo con abilità la sottile linea di frontiera tra satira e documentazione, l'autore ha creato un insieme di caratteri dalle valenze multiple che, fino dagli anni '20, sono stati oggetto di ispirazione per molti fotografi di epoche successive.

Oggi, quando guardiamo un ritratto di Sander, prima di tutto vediamo la fotografia di una donna, di un uomo o di un bambino i cui vestiti, i loro attributi e l'ambiente che li circonda ci dicono chiaramente che queste persone sono state testimoni del loro tempo. La dimensione storica delle immagini crea una distanza dal soggetto fotografato, che improvvisamente diventa un documento del passato composto dalle diverse stratificazioni sociali presenti nella sua epoca. Ma, inoltre, troviamo anche un'altra distanza, quella insita nella fotografia stessa: disgregando la composizione della fotografia, è la fisognomica e la postura del soggetto che cattura la nostra attenzione. «Una persona non è caratterizzata solo dalla sua faccia, ma anche dal modo in cui si muove — scrive Sander agli inizi degli anni '30. L'obiettivo del fotografo è sempre quello di stabilizzare e saper cogliere la caratteristica del movimento del suo soggetto.»

Romano Guardini, pensatore tedesco coetaneo di Sander, scrive: «L'individuo porta con sè una forma interiore, che ha la capacità e l'obbligo di svilupparsi partendo da sè stessa, realizzando una esistenza che solo a lei appartiene».

E ancora, nel 1931 Walter Benjamin, su Sander scrive: «Da un momento all'altro, opere come quella di Sander potrebbero assumere un'imprevista attualità. I mutamenti di potere, come quelli che da noi si stanno imponendo, trasformano di solito in una necessità vitale l'elaborazione e il raffinamento dell'appercezione fisognomica. Che si venga da destra oppure da sinistra, bisognerà abituarsi ad essere guardati in faccia per sapere donde veniamo. Dal canto proprio bisognerà abituarsi e guardare in faccia gli altri per lo stesso scopo. L'opera di Sander è più di una raccolta di fotografie: è un atlante su cui esercitarsi».

Patrizia Bonanzinga
settembre 2004

Proprietario delle opere è
Die Photographische Sammlung / SK Stiftung Kultur