Uno sguardo attento
Raccontare, testimoniare scenari in trasformazione o scandalosamente abbandonati a se stessi, eventi storici, luoghi e persone che la storia non la fanno. Andare a vedere per dare voce, o meglio per offrire spazio sulla pellicola sensibile, posare il proprio sguardo affinché questo diventi lo sguardo degli altri e generi coscienza e consapevolezza. La fotografia documentaria, sociale, concerned, sostiene con forza la propria funzione etica nella società, il suo essere una sorta di ponte tra il mondo privilegiato e l'immenso, sofferente, mondo marginale. Se grazie al contributo del fotogiornalismo, attraverso icone fotografiche divenute memoria collettiva, siamo oggi in grado di ripercorrere gran parte della storia del Novecento, dobbiamo invece a questo altro tipo di fotografia, quella che privilegia i soggetti deboli per definizione, la possibilità di incontrare le tante storie di questo mondo, sulle quali verificare, se non le politiche e le responsabilità, almeno le conseguenze dell'agire umano. Un proposito idealista certo, che si è dovuto misurare con le regole dell'universo dell'informazione e della comunicazione. Un universo fortemente manipolabile in cui il dibattito sulla deontologia professionale è stato ed è sempre acceso.
Si pensi alle passate insidie della propaganda novecentesca, come alle esponenziali proposte visive del nuovo millennio digitale, così rilevanti per il nostro mondo contemporaneo e per il nostro prossimo futuro. Si pensi alla prassi oramai diffusa del fotografare con l'uso delle macchine digitali o del cellulare che ci permette, attraverso testimonianze anche inconsapevoli, recuperate direttamente dalla rete e amplificate poi dagli altri media, di partecipare quasi in diretta alla furia dello tsunami, o di essere messi a conoscenza degli orrori nella prigione di Abu Ghraib, per fare solo gli esempi più clamorosi. Un fatto è certo: questi nuovi scenari della comunicazione richiedono una forte volontà e capacità di selezionare con attenzione le offerte, di riconoscere nel virtuale ciò che merita la nostra attenzione. E sempre più abbiamo a che fare con immagini digitali, i cui codici di rappresentazione visiva sono andati trasformandosi in una semplificazione dettata dalla tirannia della velocità e dell'immediatezza.
La crisi in atto nel sistema di informazione ha ulteriormente emarginato la fotografia documentaria più riflessiva, deprimendone investimenti e spazi. Mai come oggi il ruolo del fotografo-testimone è messo in discussione. E a chiedersi se abbia ancora un senso, una reale funzione, il continuare a produrre racconti fotografici, se ci siano spazi in un mercato saturo di offerte e popolato da un pubblico disorientato tra tutti i tipi di media oggi disponibili sono principalmente coloro che si sono fatti carico di questo mestiere, conoscendone il linguaggio, le possibilità i limiti. Questi fotografi, attraverso il loro sguardo sul mondo, tentano di offrire una risposta all'urgenza etica di una ridefinizione della propria professione.
La domanda contiene in verità una risposta forse obbligata e una richiesta implicita rivolta a tutti noi. Ossia continuare, con ostinazione peraltro, il proprio lavoro, difendendo la dignità umana dei propri soggetti, per mostrarlo ad un pubblico più attento, perché, più che altro, siamo noi ad avere il bisogno di vedere.
Venuto a mancare il tradizionale spazio offerto dall'editoria, la fotografia documentaria, alla ricerca affannosa di nuovi ambiti di comunicazione, ha trovato uno sbocco naturale e quanto mai significativo nella collaborazione con quelle istituzioni che intervengono a favore dei soggetti deboli nei paesi in via di sviluppo. Condivisa è la scelta di campo, ossia l'attenzione e dedizione alla marginalità, nella speranza che i progetti svolti siano efficaci. Condivisa è anche la necessità di creare sostegno e consenso, di comunicare in loco, con i propri sostenitori e finanziatori e, più in generale, di sviluppare una consapevolezza sui temi affrontati.
Patrizia Bonanzinga propone con le sue immagini, la sua sensibilità ed esperienza uno dei possibili racconti sull'altra infanzia, alla quale è diretto il Programma Rafforzamento della Giustizia Minorile che UNICRI e la Cooperazione Italiana stanno attuando in Mozambico. Diciamo possibili in quanto la fotografia è sempre mediazione ed interpretazione, e la narrazione è determinata da scelte e linguaggi personali. Per affrontare un tema delicato come quello dei bambini in contesti difficili, Bonanzinga si confronta appunto con i migliori e classici esempi di fotografia concerned, imponendoci con elaborata semplicità — senza neanche la consolazione del colore — un tempo di lettura lento (e lo spazio-libro rimane forse quello più congeniale a questa qualità fotografica), in cui l'attenzione suggerisce la riflessione, obbligandoci a guardare e a guardarci dentro. Una fotografia rigorosa e accogliente la sua, ma anche istintiva, che non ha nulla di didascalico, dove trovano spazio microstorie fatte di dinamiche e sguardi, sospensioni, silenzi: ciò che è difficile da dire, non si osa o non si sa dire. La fotografia è opportunità e condivisione, se ne vengono accettate le potenzialità e le fatiche. Il progetto di comunicazione di Patrizia Bonanzinga, attraverso L'altra infanzia, ha voluto con tenacia sperimentarne alcune.
Per un dvd destinato a divulgare sul territorio il Programma sono stati coinvolti musicisti, cantastorie e attori locali. Questo libro fotografico vede invece il coinvolgimento di autori mozambicani per aprire un'ulteriore possibilità di scambio, qui testimoniato dal contributo del fotografo Mauro Pinto e della scrittrice Paulina Chiziane, oltre alla partecipazione diretta dei bambini tramite una pratica sperimentata con successo proprio nei progetti di intervento a favore dei giovani svantaggiati, ovvero quella delle macchinette fotografiche «usa e getta».
Sono immagini che parlano dell'opportunità di toccare (per la prima volta per molti di loro!) una macchina fotografica, di giocare a fotografarsi, perché un piccolo laboratorio di fotografia è stato svolto permettendo loro di sentirsi protagonisti di una propria storia.
Qui la fotografia mostra la sua straordinaria forza: da strumento di testimonianza e di rappresentazione dell'altro, ad atto fotografico, per riconoscere se stessi e autorappresentarsi. A noi, sembra sottintendere il lavoro della Bonanzinga, l'opportunità e il dovere di leggerne le vitali e struggenti aspettative.
Manuela Fugenzi
Photo Editor e critico di fotografia
The Other Kids, L'Altra Infanzia, A Outra Infância
© foto Patrizia Bonanzinga
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Published by UNICRI (United Nations
Interregional Crime and Justice Research
Institute), Turino, Italy, 2009