Andres Serrano

La prima reazione che ho avuto imbattendomi nelle fotografie della serie «The Morgue» (L'Obitorio) di Andres Serrano è stata quella di girare velocemente le pagine patinate della rivista che le pubblicava. Poi, sono ritornata su quelle pagine più volte ed ho cominciato ad interrogarmi: cosa ci vuole dire questo autore, cosa cerca nel mostrarci questi frammenti di corpi privi di vita fotografati con colori così accesi da esaltarne i minimi particolari?

Non c'è dubbio, le fotografie sono belle nella forma, nei dettagli, nella stampa e si fanno guardare. Passato il primo sgomento, quelle fotografie provocano una diffusa emozione difficile da verbalizzare perché ci fanno entrare in territorio al limite di ciò che è lecito. Ci troviamo di fronte ad una specie di paradosso visivo per cui quelle immagini così estetizzanti provocano fastidio: ammirazione e malessere allo stesso tempo. Credo sia questa l'intenzione di Serrano. Il suo lavoro è il punto di raccordo tra la sua personalità e la profondità della posta che mette in gioco.

Il lavoro di Andres Serrano viene spesso definito come maledetto e provocatorio perché ci chiede di guardare ciò che normalmente ci rifiutiamo di guardare: una spettacolare rappresentazione della Morte. E l'effetto è ancora più stupefacente perché questi frammenti di corpi morti sono anonimi, spesso privi di volto.

Nato a New York nel 1950, Andres Serrano, per metà di origini honduregne e metà afro-cubane, dal '67 al '69 frequenta la scuola d'arte del museo di Brooklyn, dove ancora oggi vive. Decide di abbandonare molto in fretta il pennello e le tele e di armarsi di macchina fotografica. Sviluppa progetti che trattano essenzialmente di problemi sociali, sesso e religione. Nel 1985 espone la sua prima personale. Nel 1990, con la serie «KKK» propone i ritratti di alcuni membri del Klu Klux Klan e nello stesso anno con i suoi «Nomadi» sviluppa una serie di fotografie sulla vita della gente che vive ai margini di New York: senza tetto, neri, rasta. «Volevo affrontare queste condizioni sociali e i miei propri malesseri. Transitiamo per le città senza guardare questa gente, semplicemente la ignoriamo.« Nel 1991 comincia a lavorare sul corpo, ma soprattutto su frammenti di corpo, ed ottiene l'autorizzazione a fotografare all'interno di un obitorio.

Serrano ama il ritratto che sviluppa seguendo le regole della pubblicità: studia composizioni sempre rigorose; cerca molteplici simboli allegorici; usa la luce in modo sapiente ed originale producendo ritratti di colore sempre acceso che appaiono irreali. Quella di Serrano è una ricerca accurata che lo conduce sempre verso la bellezza, componente essenziale del suo lavoro: «Credo che sia necessario cercare la bellezza anche nei luoghi meno convenzionali o nei candidati più insospettabili. Se non incontro la bellezza non sono capace di scattare alcuna fotografia».

Il lavoro di Serrano è stato esposto al PAC di Milano in occasione della seconda edizione della Giornata del Contemporaneo celebrando l'estro creativo di questo interprete dei nostri tempi con un duplice appuntamento: la mostra «Il Dito nella Piaga», a cura di Oliva MarĂ­a Rubio, in collaborazione con «La Fábrica» di Madrid, una selezione di alcune delle sue più significative fotografie degli ultimi vent'anni, e la mostra «The Morgue», a cura di Alessandro Riva, dieci lavori inediti dell'artista tratti dalla controversa omonima serie fotografica del 1992. Immagini macabre e scioccanti a lungo tenute nascoste per volere dello stesso artista e che sono state presentate per la prima volta, in esclusiva assoluta, a Milano.

Patrizia Bonanzinga
gennaio 2007