Dario Coletti

Dall'aspetto sembra un sardo. Capelli scuri, occhi neri e mobili, voce pacata. A sentirlo parlare della «sua» Sardegna sembra proprio che il suo aspetto si sia modellato sui suoi pensieri. Invece Dario Coletti, classe '59 e fotografo professionista da ormai molti anni, è nato a Roma e si è innamorato di quella terra a partire dal 1993, quando vi è arrivato la prima volta per svolgere lavori di reportage specifici come corrispondente di alcuni giornali sardi. Da allora non ha mai smesso di ritornarci. Nel corso del tempo, percorrendo e ripercorrendo quei territori, il suo approccio giornalistico muta e dal 1995 si trasforma in una vera e propria ricerca antropologica che è poi diventata l'oggetto del suo ultimo libro: «Ispantos», «Meraviglie» in sardo, edito da Soter una piccola ma attenta casa editrice di Villanova Monteleone che sta svolgendo un lavoro interessante anche in ambito fotografico. Gli scatti sono in bianconero. Usa vari formati, ma predilige quello della biottica Rolleiflex, regolata saltuariamente secondo la variazione della luce, che gli permette una ripresa dall'alto e un approccio emotivo guidato dal suo ventre.

Dario Coletti coniuga la Sardegna secondo tutti i possibili aspetti a lei riferibili: lavoro, feste, turismo, resti, gente, tradizioni, religione, natura, territorio. Ma il suo sforzo è quello di andare oltre una forma tipicamente descrittiva che si potrebbe riassumere con un solo aspetto, il folclore, spesso associato a quel territorio. Si ritrova ad indagare per andare oltre l'apparenza, per uscire dal cliché della Sardegna come luogo di vacanza, di mare, di svago, ed entrare in un territorio più remoto dove la memoria e la storia giocano ruoli rilevanti.

Cerca tra i resti e, dopo i noti nuraghi, trova i menhir — pietre lunghe o fitte rappresentanti dell'architettura funeraria del periodo Neolitico che con la loro foggia monolitica a forma di fallo evidenziano la potenza maschile — che in Sardegna posseggono piccole protuberanze tipiche del seno femminile ad evidenziare come il ruolo della donna in quelle terre di pastori sia da sempre considerato estremamente rilevante: è la donna che gestisce i commerci, la casa e l'educazione dei figli, mentre gli uomini trascorrono lunghi periodi fuori casa con gli animali da accudire.

Percorre le strade affollate da turisti ordinari, circondati da una natura straordinaria, che fanno riflettere sulla normalità della vita e delle cose. Vive le feste, i riti, e cerca di capirne le origini parlando con la gente che lo accoglie esibendo lo straordinario senso di ospitalità mediterranea tipico degli abitanti di quella terra. Un luogo aperto in cui pastori, intellettuali e studenti si incontrano al bar e discutono insieme senza mai abbandonare il senso dell'onore che li contraddistingue: «parla bene», è l'ammonizione che spesso si sente come rimprovero rivolto a chi non ha il dovuto rispetto verso gli altri. Alcuni incontri diventano compagni fedeli di viaggio, come Francesco Faeta che scrive un bel testo a chiusura del libro o Marcello Fois, autore del testo pubblicato a metà della sequenza fotografica del libro che segna un momento di pausa, di riflessione trasognata.

Lo sguardo di Dario Coletti si ferma sui gesti della gente: ragazzi che regalano al mare il loro stupore di vivere, mani in primo piano che parlano intersecandosi tra loro o appoggiandosi su strumenti di varia natura, ombre che disegnano profili netti di posture decise, corpi umani che si confondono con le eleganti silhouette dei cavalli. Tutto è immerso in un'atmosfera nella quale la coscienza lascia ampio spazio all'emozione: le fotografie, e i segni che ne regolano la forma, assumono la visione tipica del sogno. «Ispantos» è un lavoro ambizioso con il quale l'autore vuole dimostrare come la Sardegna sia un organismo unico, autonomo e compatto formato da molteplici «Meraviglie».

Patrizia Bonanzinga
novembre 2006

Fotografia Reflex